I micro-ortaggi sono plantule commestibili di specie orticole, erbacee e aromatiche. Il loro uso sta avendo un boom nella ristorazione, offrendo interessanti opportunità per gli agricoltori.
Ad un numero sempre maggiore di consumatori piace mangiare prodotti di piccoli dimensioni, ma dal sapore intenso. E così sono nati i mini-ortaggi: come carote, asparagi e mais in miniatura, ottenuti ad esempio sfruttando alte densità di semina, precocità di raccolta e impiegando cultivar poco vigorose. Ci sono poi i germogli, quelli ottenuti appena dopo la germinazione dei semi, che molti consumatori preparano addirittura in casa. E anche i babyleaf, la classica ‘insalatina’ per la quarta gamma.
Per soddisfare le richieste del mercato è anche possibile produrre micro-ortaggi (o in inglese microgreens), plantule commestibili ottenute a partire dai semi di varie specie di ortaggi, colture erbacee, erbe aromatiche e piante spontanee che vengono usate per guarnire i piatti o per insaporire le pietanze. Generalmente vengono raccolte dopo 7-21 giorni dalla semina, che avviene utilizzando un substrato inerte, come ad esempio la vermiculite.
I micro-ortaggi sono raccolti tagliando alla base le singole plantule quando raggiungono un’altezza variabile tra 3 e 9 centimetri, escludendo le radichette (a differenza del prodotto germoglio). La porzione edule è rappresentata dallo stelo, dalle foglie cotiledonari e spesso dagli abbozzi delle prime foglie vere.
Ma che sapore hanno i micro-ortaggi? Difficile descriverlo in un articolo. “Per molti ortaggi il sapore che si ritrova nella plantula è simile a quello che si conosce bene, perché tipico del prodotto commercializzato. In altri casi invece il micro-ortaggio ha un sapore unico. Un aspetto importante è la varietà di colori, forme e sapori che i mini-ortaggi possono offrire. Si va dal verde al giallo, passando dal rosso e dal viola. Le plantule possono avere sapore amaro, dolce, acido e perfino piccante. Mentre la consistenza passa dal tenero al croccante.
La coltivazione: attenzione al seme
Data la delicatezza delle plantule la loro crescita deve avvenire in ambiente controllato, all’interno di contenitori, in canalette, bancali o su pannelli galleggianti. Per gli amanti dell’indoor farming è anche possibile coltivare i micro-ortaggi all’interno di strutture chiuse, controllando temperatura e umidità e fornendo luce attraverso lampade led.
Massima attenzione deve essere posta nella scelta delle sementi che devono avere una qualità certificata per assicurare una alta e uniforme germinazione oltre alla sanità delle piante. I semi non devono essere assolutamente conciati, per evitare residui poi nel prodotto venduto, e avere una purezza elevata. Occorre infatti essere certi dell’assenza di malerbe non commestibili nel prodotto finito.
Per diminuire il rischio che nella coltura si sviluppino fitopatologie è buon norma, soprattutto per i semi con tegumento corrugato, procedere alla pulizia con trattamenti chimici, ad esempio a base di ipoclorito di sodio o di calcio, acqua ossigenata, etanolo, acido malico o acido lattico a diverse concentrazioni. Oppure attraverso trattamenti fisici: utilizzando il calore, l’alta pressione o l’irraggiamento.
Ma qual è la densità di semina migliore per ottenere i micro-ortaggi? Non esiste una regola univoca. Per i semi più piccoli, come cicoria, cavolfiore o broccolo se ne possono piantare anche quattro per centimetro quadrato. Mentre per quelli più grandi, come il cecio, il mais o il girasole si scende ad un solo seme.
Per ogni specie bisogna trovare il giusto equilibrio tra una densità bassa e alta. La prima lascia maggiore spazio di crescita, ma può risultare antieconomica. La seconda porta a produzioni maggiori ma spinge le plantule a crescere soprattutto in altezza. In queste condizioni il prodotto non solo ha un minor peso unitario, ma può sviluppare con maggiore facilità marciumi.
Quali specie coltivare?
I micro-ortaggi possono essere ottenuti a partire da un gran numero di specie appartenenti a diverse famiglie botaniche, tra cui quella delle Brassicaceae (ad esempio, cavolfiore, cavolo broccolo, cavolo cappuccio, cavolo cinese, cavolo da foglia, cavolo verza, cima di rapa, crescione, mizuna, ravanello, rucola, senape e tatsoi), Asteraceae (ad esempio, lattuga, indivia, scarola, cicoria, radicchio), Apiaceae (aneto, carota, finocchio, sedano), Amaryllidaceae (aglio, cipolla, porro), Amaranthaceae (amaranto, atreplice, bietola da coste, bietola da orto, spinacio) e Cucurbitaceae (melone, cetriolo, zucca).
Non solo le specie orticole possono essere utilizzate per la preparazione dei micro-ortaggi, ma anche piante erbacee, tra le quali i cereali (avena, grano tenero, grano duro, mais, orzo, riso), la quinoa, le leguminose (cecio, erba medica, fagiolo, fagiolino, fieno greco, fava, lenticchia, pisello, trifoglio), le oleaginose (girasole) e perfino specie da fibra come il lino, nonché diverse specie aromatiche quali basilico, erba cipollina, coriandolo e cumino.
Il mercato
Il consumo di micro-ortaggi è ancora una nicchia nel nostro paese, anche se nel Nord Europa e negli Stati Uniti (dove sono stati ‘inventati’ negli anni Novanta) sono molto utilizzati. “C’è un forte interesse da parte della ristorazione che oggi utilizza questi prodotti per guarnire i piatti. Ma si guarda sempre più anche agli aspetti nutraceutici: i micro-ortaggi sono spesso dei superfood, perché sono molto ricchi di composti bioattivi”.
I microgreens possono essere venduti dopo la raccolta, ma per aumentare la shelf life e offrire al consumatore un prodotto sempre fresco è anche possibile vendere le plantule insieme al proprio substrato di crescita, in modo che possano essere recise appena prima dell’utilizzo.
Fonte: Agronotizie
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